I soci del Museo di Valmaggia in Malcantone, 25 maggio 2019
Sorto nel 1853 quale sede della prima scuola professionale della Svizzera italiana, l’edificio che oggi ospita il Museo del Malcantone a Curio vanta oltre un secolo e mezzo di vocazione didattica. Ne hanno trovato conferma i soci del Museo di Valmaggia, durante la loro escursione sociale di sabato 25 maggio: guidati dal conservatore Bernardino Croci-Maspoli, hanno potuto ascoltare ed osservare le tracce che la Storia ha lasciato fra le colline del Malcantone. Sono tracce di una storia rurale che si presta a tanti parallelismi con la storia della nostra Valmaggia, pur essendone inconfondibile per evidenti differenze: di materiali di costruzione, di mete migratorie, di espressione linguistica. Eppure, come ci insegna l’abile e suggestivo allestimento della nuova mostra permanente, questa non è che la prova di un tratto tanto affascinante quanto paradossale della terra ticinese: le nostre piccole regioni, che all’ingenuo sembrano il prodotto di semplici e ripetitivi “sviluppi storici autonomiâ€, in realtà rivelano in diversissimi e inattesi ambiti un denso incrocio tra le peculiarità più inedite e le esperienze di più larga scala. Sarà forse questo a rendere così complessa e fertile la storiografia locale, oppure a infondere nell’estraneo visitatore valmaggese un sentimento quasi di domesticità. Sentimento che riesce ad esaltarsi nel racconto dell’allestimento museale, organizzato in modo tale da esplorare la storia malcantonese da una prospettiva dinamica: il ciclo della vita, le stagioni della politica locale e cantonale, le battute dei canti popolari, “il mondo che arriva in Malcantone†e “il Malcantone emigrante nel mondoâ€. Così, osservando il museo di Curio con i propri occhi valmaggesi, se il contenuto è per forza di cose differente, nelle dinamiche scopriamo alcune similitudini strabilianti. Pensiamo ai tempi duri dell’emigrazione, così importante nella storia come nella letteratura valmaggese, che, come per noi carpentieri e mungitori, allo stesso modo dal Malcantone ha spinto nel mondo architetti, fornaciai e stuccatori. Don Francesco Alberti, scrittore, parroco e politico malcantonese di inizio Novecento, ne esprime il dramma con una metafora di raro effetto in un’intervista del 1929: “S’i vuréva faa naa i ganass e distacaa ul bombenÃg du firón da schéna i dovéva faa sü ur so bulgétt e tapasciaa via par móndâ€.
Come ci racconta Martino Molinari, la parziale alternativa alla partenza migratoria, che in Valmaggia era forse rappresentata dall’attività alpestre, in Malcantone era offerta dalla miniera d’oro di Sessa: ben 2,1 chilometri di scavi nella roccia sotto Astano che nacquero sotto i colpi del piccone, della polvere nera e della dinamite fra il 1785 e il 1952. I segni e il ricordo di questo importante passato sono oggi visibili grazie al recentissimo recupero della miniera, che ne ha permesso l’apertura al pubblico. Asciugatosi il sudore dei minatori, la ruggine dei binari, le scale a pioli e l’immenso numero dei cunicoli rimangono a fare buona guardia alla memoria di una storia più recente di quanto si creda.
Gli emigranti e l’oro malcantonesi sono partiti per il mondo, dal mondo è invece arrivata la Gioconda di Leonardo da Vinci, a pochi passi dalla “ramina†di Astano. Rubata nel 1911 dal Louvre di Parigi per mano di Vincenzo Peruggia, la Monna Lisa ha trascorso due anni di latitanza nel paese d’origine del Peruggia, Dumenza, a pochissimi chilometri da Astano. Qui venne copiata dall’artista di Astano Marco de Marchi, che furtivo ed emozionato come un amante si recava nottetempo a Dumenza dall’amico Peruggia. Ritrovata alcuni anni or sono dall’attuale proprietario Marco Morandi, questa è l’unica copia della Gioconda realizzata durante il periodo della sua sparizione.
Dal museo alla Gioconda e poi nella miniera di Sessa, la gita del museo di Valmaggia è quindi andata alla scoperta di un Malcantone che probabilmente in pochi avrebbero saputo prevedersi.
Testo di Rocco Cavalli.